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Erasmo da Rotterdam

Erasmo da Rotterdam

la vita di Erasmo da Rotterdam

Erasmo da Rotterdam, con lo pseudonimo di Desiderius Erasmus Roterodamus (Rotterdam, 1466 – Basilea, 12 luglio 1536), è stato un teologo, umanista e filosofo olandese.

Firmò i suoi scritti con lo pseudonimo di Desiderius Erasmus. La sua opera più conosciuta è Elogio della follia. È considerato il maggiore esponente del movimento dell'Umanesimo cristiano.

 

Le informazioni sulla famiglia e sulla prima giovinezza di Erasmo si possono dedurre solo da scarsi indizi sparsi nei suoi scritti. Nacque a Rotterdam o a Gouda, nei Paesi Bassi, allora territorio del Ducato di Borgogna, nel 1466, dalla relazione tra Margherita, una donna di Gouda figlia di un medico, e un prete di nome Geert, i quali avevano già avuto qualche anno prima un altro figlio, Pieter. Anche se le convivenze più o meno mascherate di preti con donne erano relativamente diffuse, tale circostanza fece però sì che Erasmo non amasse parlare delle proprie origini.

 

Battezzato con il nome di Erasmo, adotterà in seguito il secondo nome di Desiderio. Fece i primi studi a Gouda e all'incirca dal 1476 frequentò la scuola capitolare di San Lebuinus a Deventer, dove apprese soprattutto la lingua latina e la retorica. Quella scuola, definita da Erasmo ancora "barbara", solo alla fine del suo soggiorno fu retta dall'umanista Alexander Hegius, ed Erasmo ebbe l'occasione di ascoltarvi una volta il famoso Rudolf Agricola.

 

Dopo la morte dei genitori per peste nel 1483, i tutori di Erasmo e Pieter, che speravano che i due giovani prendessero i voti monastici, li mandarono a studiare in una scuola dei Fratelli della vita comune, a 's Hertogenbosch, da dove tornarono a Gouda dopo due anni, a causa di una nuova epidemia di peste. Pieter si fece frate nel convento di Sion, vicino Delft, e poco dopo, nel 1487, Erasmo entrò nel convento agostiniano di Steyn, nei pressi di Gouda. Qui Erasmo si legò con intensa amicizia al suo compagno di cella, Servatius Rotger, di poco più giovane, che diverrà priore di quel convento.

 

Poco alla volta imparò a controllarsi e alla figura dello studente sentimentale subentrò quella del latinista che discorre di letteratura e dà consigli di stile. In una lettera all'amico Cornelius Gerard egli mostra di aver acquisito la conoscenza di tutti i maggiori autori classici latini, di Agostino, di Gerolamo, di umanisti italiani, tra i quali spicca Lorenzo Valla, le cui Elegantiae erano per lui un modello di bonae litterae moderne.

 

Ma se nel convento si accresceva la sua istruzione, non progrediva l'affezione per la vita monastica. Nel carteggio di quel periodo non vi è traccia di argomenti religiosi e vi è insofferenza per i suoi superiori, che non comprendono e frenano la sua passione per la poesia. Nella sua prima opera, tuttavia, una Lettera sul disprezzo del mondo (De contemptu mundi), scritta intorno al 1489, egli loda la vita solitaria dei monaci come mezzo per realizzare l'ideale umanistico della formazione di uno spirito eletto, pur non giungendo mai ad esaltare il ritiro conventuale quale espressione di una compiuta vita cristiana.

 

Con tutto ciò, il 25 aprile 1492 fu ordinato canonico agostiniano a Steyn, ma già nel 1493 colse l'occasione per lasciare il convento per mettersi al servizio del vescovo di Cambrai, Hendrik van Bergen (1449-1502), il quale aveva necessità di un segretario che fosse buon conoscitore del latino. Erasmo non fu però soddisfatto della nuova sistemazione che lo costringeva a frequenti viaggi per i Paesi Bassi, sottraendogli molto tempo ai suoi studi prediletti. Fu così che nel 1495, con il consenso del vescovo e con un modesto sussidio, si recò a studiare presso l'Università di Parigi, che era allora la sede principale dell'insegnamento scolastico.

 

Erasmo rimase a Parigi fino al 1499. Si stabilì dapprima nel Collège de Montaigu, ma presto la dura disciplina e il pessimo alloggio lo convinsero a trasferirsi in una pensione per studenti, arrotondando il magro stipendio del vescovo con lezioni private di latino. Per le necessità del suo lavoro di precettore, scrisse alcuni manuali e cominciò a raccogliere una serie di proverbi e di forme idiomatiche latine destinate a grande successo, gli Adagia.

 

A Parigi fu in contatto con Jan Standonck (1454-1504), direttore di Montaigu, e con un amico di questi, Jan Mombaer (1460-1501), entrambi seguaci della Devotio moderna, movimento religioso che Erasmo aveva già conosciuto a Steyn e il cui influsso su Erasmo è stato sopravvalutato. Del resto, giudicò il Rosetum exercitiorum spiritualium scritto da Mombaer «nient'altro che cardi e loglio», e nel colloquio Del mangiar pesce denunciò «la vera e propria crudeltà verso il prossimo» dello Standonck. Apprezzò invece Robert Gaguin (1433-1501), uno dei maggiori umanisti parigini dell'epoca, e si fece un buon amico nell'umanista italiano Fausto Andrelini, già poeta laureato a Roma e che anche in Francia aveva ottenuto un grande successo nel campo delle lettere latine, tanto da essere nominato poeta regio da Carlo VIII.

 

Nell'estate del 1499 lasciò Parigi per l'Inghilterra, per diventare precettore del giovane William Blount, quarto barone di Mountjoy, che sarà poi maestro del principe Enrico. Grazie alle conoscenze di lord Mountjoy, Erasmo venne in contatto con molti esponenti dell'aristocrazia, con Tommaso Moro (1478-1535), con William Grocyn (1446-1519), con Thomas Linacre (1460-1524). Si compiaceva di vedere come in Inghilterra germogliassero «ovunque abbondanti i semi della scienza antica», come scrisse il 5 dicembre all'amico Robert Fisher.

 

A Londra fu presentato al principino Enrico e, stabilitosi a Oxford, conobbe anche il teologo John Colet (1466-1519), del quale ascoltò con grande interesse le lezioni sulle lettere di san Paolo. Si è sostenuto che il Colet abbia esercitato un influsso decisivo su Erasmo, spingendolo a quell'interesse filologico per la Bibbia che è centrale nella sua attività di studioso. In realtà John Colet non conosceva il greco e il fascino che egli esercitò sull'umanista olandese si deve probabilmente soprattutto alla qualità del suo carattere personale, come lo stesso Erasmo scrisse ricordando il Colet.

 

Dopo sei mesi, Erasmo ritornò a Parigi. Il viaggio fu molto movimentato: i doganieri inglesi gli sequestrarono a Dover tutto il suo denaro e in Francia due briganti tentarono di rapinarlo. Il bisogno di guadagnare rimase per molti anni assillante ed egli dovette più volte rivolgersi a diversi benefattori sparsi tra i Paesi Bassi, l'Inghilterra e la Francia. Era già ben consapevole del suo valore se, chiedendo all'amico Jacob Batt di intercedere presso la ricca mecenate Anna van Borsselen, scriveva nel 1500 che «con i miei scritti renderò a questa gentilissima signora più onore di tutti gli altri teologi da lei protetti. Mentre essi predicano banalità effimere, quello che scrivo io è destinato a durare. Quegli ottusi chiacchieroni si possono ascoltare in questa o quella chiesa, mentre i miei libri vengono letti da latini, da greci, da tutti i popoli della terra. Di tali ottusi teologi se ne trovano in abbondanza, uno come me non lo si vede da secoli».

 

Nel 1500 l'editore parigino Jean Philippe pubblicò i suoi Adagiorum collectanea, una raccolta di 818 proverbi latini e modi di dire filologicamente commentati. La raccolta si amplierà con le successive edizioni: quella del 1505 ne contiene 838, l'edizione veneziana di Aldo Manuzio, del 1508 - a partire dalla quale Erasmo comincia a inserire numerose citazioni greche - ne contiene 3.260 e porta il titolo Adagiorum chiliades che sarà quello definitivo anche nell'ultima edizione del 1536, pubblicata con i tipi dell'editore di Basilea Johan Froben e contenente 4.151 proverbi.

 

I più citati, tra i latini, sono Cicerone, Aulo Gellio, Macrobio, Orazio, Virgilio; tra i greci, Aristofane, Aristotele, Diogene Laerzio, Luciano, Omero, Pitagora, Platone, Plutarco, Sofocle, la Suda. Gli autori cristiani - Agostino e Girolamo - o i passi biblici sono relativamente meno presenti, mentre non mancano autori rari come Michele Apostolio, Diogeniano, Stefano di Bisanzio, Zenobio.

 

Erasmo aveva infatti iniziato a studiare il greco solo dal 1500, comperandosi scritti di Platone e pagandosi un insegnante, e nello stesso tempo si dedicava allo studio di Girolamo, di cui possedeva tutte le opere. La conoscenza del greco gli era indispensabile per affrontare l'impegno maggiore, quello della Bibbia e della teologia: «io credo che sia il colmo della follia anche solo accennare a quella parte della teologia che tratta in particolare del mistero della salvezza, se non si è padroni anche del greco», scriveva nel 1501, e tre anni dopo scriveva di trovarsi «sotto l'incantesimo del greco», deciso a dedicare la vita allo studio della Scrittura.

 

Già scritto nel 1501 per Johann Poppenreyter, un armiere della corte di Borgogna, il quale si fece dell'opuscolo quel che Erasmo si «fece della spada ricevuta in cambio per omaggio», cioè nulla, l'Enchiridion militis christiani fu rielaborato da Erasmo nel 1503 e pubblicato ad Anversa dall'editore Dirck Maertens nel febbraio del 1504 nelle Lucubratiunculae, una raccolta di brevi scritti di diversi autori. L'Enchiridion fu edito come opera a sé dallo stesso Maertens nel 1515 a Lovanio ed ebbe una larga diffusione con diverse traduzioni: la prima traduzione italiana, a opera di Emilio dei Migli, apparve a Brescia nel 1531. È da notare che, per la ristampa del 1518 dell'editore Johann Froben di Basilea, Erasmo scrisse un'introduzione nella quale difendeva Lutero dagli attacchi cui era soggetto dopo l'esposizione delle sue Tesi.

 

Enchiridion significa manuale o anche pugnale e lo scopo del libro, come dichiara l'autore, è prescrivere un modello di vita cristiana. Il cristiano è concepito come un soldato che deve combattere per vivere felicemente nel mondo: egli possiede due armi, la preghiera e la conoscenza di sé. In quanto essere naturale, egli appartiene a questo mondo, ma egli è anche un essere spirituale, e deve pertanto innalzarsi al mondo dello spirito. Citando infatti il passo di Giovanni «è lo spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla», Erasmo commenta che «a tal punto non giova, che la carne è mortifera se non conduce allo spirito». E anche Paolo «vuole che ci fondiamo sullo spirito che è la fonte della carità e della libertà».

 

Ne deriva che per giungere a Dio, la via delle pratiche esteriori di devozione - andare in chiesa, recitare i salmi, digiunare - non è adeguata se non corrisponde a un'intima convinzione: «beati coloro che ascoltano interiormente la parola di Dio. Felici quelli a cui il Signore dice interiormente la sua parola: le loro anime saranno salvate». Credere che le cerimonie religiose da sole bastino a salvarci significa «rimanere nella carne della legge, confidare in cose che non valgono nulla e che in realtà Dio detesta».

 

La vita monacale è un esempio di pratica continua e scrupolosa delle cerimonie. I monaci, che pure credono di avere un rapporto privilegiato con Dio e con lo spirito, sono rimasti in realtà «bambini in Cristo», mostrando una «grande debolezza d'animo: trepidano anche laddove non c'è nulla da temere e sbadigliano per il sonno quando il pericolo è maggiore». Essi opprimono il cristiano con scrupoli e cavilli, «lo costringono a rispettare tradizioni puramente umane e precipitano il misero in una sorta di giudaismo, gli insegnano il timore, non l'amore».

 

Altri esempi di devozione cerimoniale degenerati nel formalismo e nella vuota apparenza sono il culto dei santi e delle reliquie. È meglio imitare la loro vita e le loro virtù, e piuttosto che venerare un frammento della croce di Cristo, è meglio ascoltare la sua parola: «come niente è più simile al Padre del Figlio, il Verbo del Padre che promana dall'intimità del suo cuore, così niente è più simile a Cristo della sua parola». Anche la messa appartiene alla sfera dell'esteriorità se il sacrificio di Cristo non si realizza nello spirito dell'uomo.

 

Nella visione di Erasmo del cristianesimo, «l'uomo si pone davanti a Dio come individuo singolo, e segue solo la voce di Dio e della propria coscienza [...] È la via verso l'interiorizzazione. Il dato oggettivo e insignificante, quello istituzionale, non serve [...] quello che conta veramente è solo il cuore, la disposizione individuale». Con l'Enchiridion, «la parola d'ordine della libertà evangelica è lanciata. E sebbene in questa prima fase essa sia una formula più che una dottrina, tuttavia fin da ora la si trova strettamente associata alla religione dello spirito. La libertà evangelica è il vertice dello spiritualismo di Erasmo, il risvolto positivo della sua battaglia contro l'esteriorità delle cerimonie».

 

Quel che Erasmo intendeva colpire erano comunque gli eccessi di tali cerimoniali, non le pratiche in sé. Sono attestate ad esempio le sue esperienze di pellegrino al santuario di Nostra Signora della Santa Casa a Walsingham, o una preghiera di ringraziamento in onore di Santa Genoveffa, da lui composta per averlo fatto guarire da una malattia.

 

Il nuovo secolo si era aperto per Erasmo con nuovi viaggi da Parigi a Orléans, poi a Lovanio nel 1502, ancora a Parigi nel 1505, dove pubblicò le Annotationes al Nuovo Testamento di Lorenzo Valla, primo esempio della sua attività di curatore ed esegeta di manoscritti.

 

Dopo una breve permanenza in Inghilterra, dal 1506 al 1509 Erasmo visse in Italia. Dopo un primo periodo trascorso a Torino, dove il 4 settembre 1506 si laureò in teologia presso la locale Università, si trasferì a Bologna e di qui Venezia, ospite del suocero dell'editore Aldo Manuzio. Con lui abitava l'umanista Girolamo Aleandro, dal quale Erasmo prese lezioni di greco: destinato a una carriera ecclesiastica di grande successo, l'Aleandro diventerà cardinale e nunzio pontificio, e accuserà Erasmo di essere un eretico e un fomentatore della Riforma protestante. Erasmo approfittò del soggiorno veneziano per procurarsi altri manoscritti di autori greci e per lavorare intensamente agli Adagia che ampliò notevolmente e fece pubblicare dal Manuzio nel 1508. Visitò anche Padova e Siena, fu a Napoli, a Cuma e, nel 1509, a Roma, dove conobbe i cardinali Domenico Grimani e Giovanni de' Medici, gli umanisti Raffaele Riario ed Egidio di Viterbo (altro suo futuro, accanito avversario) e assistette, il venerdì santo, a una predica tenuta di fronte a Giulio II nel quale l'oratore paragonava il papa a Giove che impone la sua autorità ai potenti del mondo.

 

La notizia della morte del re inglese Enrico VII nell'aprile del 1509 e della prossima salita al trono di Enrico VIII, comunicatagli dall'amico Blount con un invio di denaro e il miraggio dei grandi successi che lo avrebbero atteso in Inghilterra, lo spinse a lasciare Roma, e come all'andata in Italia era andato scrivendo un De senectute, così nel viaggio di ritorno, «per non perdere in chiacchiere da rozzi illetterati tutto il tempo», gli venne in mente di celebrare l'elogio della pazzia, quel Moriae encomium che nel titolo ricordava il nome dell'amico Tommaso Moro che si riprometteva di rivedere nella lontana isola.

John Colet

John Colet 

Tommaso Moro
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